IL BLOG DI SILVIO TEDESCHI

domenica 28 marzo 2021

In gita ad Anagni, facile facile

 

Di Giampiero Casoni

Piccola storia triste: in Italia vengono scoperte 30 milioni di dosi di AstraZeneca fuori computo, i Nas fanno tana ad Anagni e scoppia Casamicciola. Il mondo di media e governi a traino (ah no, è il contrario) si infiamma talmente tanto e talmente bene che ci si scorda di una cosa elementare come i rutti di Watson: che una cosa, prima di essere scoperta in un posto in quel posto deve arrivarci. E che forse come c’è arrivata è più grave del fatto che in quel posto ci stia. E veniamo a bomba, lepre lepre ché di preamboli qui non servono: 30milioni o giù di lì di dosi di vaccino, a contare 0,5 cc per dose come da indicazioni dei tizi anglo-svedesi, sono circa 15mila litri di liquido. Non di acqua Rocchetta, si badi bene, ma della sostanza più cruciale e gettonata sul pianeta degli ultimi cento anni, più della coca del Chapo, del petrolio dei vaccari texani e dell’acqua di Lourdes messi assieme. Mi viene incontro mio cugino Antonio nel darmi un’idea concettuale di dove possano accasarsi 15mila litri di liquido in questa parte di mondo: scartata l’idea di rubare il Fiorino dell’amico tamarro o di noleggiare duemilasettecentosei muli alpini in pensione, resta un’autocisterna di quelle che riforniscono di benzina i distributori. Un cataplasma di quelli a pieno carico di litri ne contiene esattamente 33 mila. Domanda per spezzare il narrato e creare un filino di suspence: c’è o non c’è un cacchio di protocollo per cui un carico di roba che non è esattamente Brodo Star appena entra in territorio italiano venga preso in affido e monitorato da forze dell’ordine o autorità preposte metro per metro per metro, in modo da chiedere magari al tizio che guida “Ndò vai co’sta roba”? I video di inizio anno ci dicono di si, i fatti di oggi ci consigliano di tenerci sul forse. Ad ogni modo la notizia è stata confezionata come se il bingo fosse avvenuto per magia, come se cioè quei 30 milioni d dosi si fossero teletrasportati ad Anagni dal tinello del dottor Spock. Quindi, a tirare le somme, i 30 milioni di dosi di vaccino AstraZeneca trovati dai Nas ad Anagni pare dietro soffiata italiana all’Europa che ha risoffiato all’Italia l’ordine di sguinzagliare i carabinieri hanno viaggiato fino al centro dello stivale in maniera perfettamente indolore ed impunita. Che siano arrivati via terra, in volo o su un cargo battente bandiera liberiana la sostanza non cambia. Non cambia perché l’Italia è quel paese dove per dare il diserbante alle melanzane nell’orto devi avere un patentino che attesti che puoi maneggiare quella roba. E’ il paese dove la tracciabilità di prodotti farmaceutici ed alimentari è cosa da urlo di Munch, con un carosello di bolle, certificazioni, scarichi, certificati, schermate on line e avvisi da mandare in pappa un cervello medio in sei minuti netti. Noi siamo quel paese dove nei frantoi la quota alimentare dell’olio d’oliva deve essere scaricata litro dopo litro dalla quantità che vuoi vendere in base al numero di familiari ed alla loro residenza, altrimenti arrivano gli omini con la divisa grigia e ti fanno il culo come un secchio. Da noi perfino una bistecca non te la sbrani più se non sai su quale prato la vacca ha spadellato la merda. Viene liscio pensare che in tema farmaci e in modalità pandemia questi protocolli siano tedeschissimi. Alla luce di questi preamboli sarebbe dovuto venir facile perciò chiedersi non tanto e non solo dove dovevano andare quei 30 milioni di dosi, ma come cazzo abbiano fatto ad arrivare. A farsi cioè un gita lunga più o meno 1500 chilometri, di cui quasi mille su suolo italiano, senza che nessuno sapesse che in giro c’era da controllare roba di valore economico, sanitario e sociale immenso. Roba che tra l’altro sul mercato nero ha un valore decuplicato e che dovrebbe essere sorvegliata come le chiappe di Cutolo buonanima. E siccome in Italia da tempo ormai facciamo tutti le domande sbagliate per non correre il rischio di ottenere le risposte giuste la cosa è finita in gloria. In gloria e con un giallo che ha fatto come l’ora legale, spostando in avanti l’orologio dei perché. Un giallo che è come quello della barzelletta: giallo davanti e marrone di dietro. E come sempre la parte marrone è quella che guarda in faccia a noi.

giovedì 18 marzo 2021

TRANQUILLO LUIGINO, SEI IN BUONE MANI

 Quando Luigino mi chiese di organizzare la comunicazione dell’ ASD Roccasecca, riprendendo il lavoro fatto precedentemente, ma con altri mezzi e tecnologie, allora esisteva solo il Blog e ancora non si palpava l’importanza dei social, lo feci soprattutto perché me lo chiedeva insistentemente e si vedeva la passione con cui voleva far tornare protagonista il calcio roccaseccano, riportando soprattutto gente allo Stadio. Lo feci proprio per lui e ovviamente il Presidente Federico Rossini e i tanti amici dirigenti, compreso il compianto Roberto Pallone ma anche in onore di Roberto Rezza. E’ vero, chiesi esplicitamente che al mio fianco ci fossero stati due persone professionali e di cui mi fidavo totalmente, il mio amico Donato Grimaldi, da sempre esperto giornalista, appassionato di calcio, conosce tutte le vicende ma anche un valido e ottimo cronista e lo si vede dalla penna, e Antonio De Carolis, nessuno meglio di lui capace di riprendere, montare, registrare e cogliere con la sua telecamera, attimi, momenti, espressioni, che lasciano il segno, le sue immagini, le sue riprese rimarranno perle preziose della vita sportiva roccaseccana. Decisi di intraprendere questo viaggio anche perché lo sport oltre ad essere passione è anche divertimento, spensieratezza, vivere. I momenti più belli, esaltanti, vissuti insieme a tutta la dirigenza dell’ASD Roccasecca, non si dimenticano, mi sono tornati, purtroppo spesso in mente, nel ricordare in quest’ ultimo e maledetto anno, nel ricordare i tanti amici che sono volati in cielo, difficile raccontarli, forse preferivo le immagini, abbiamo trascorso momenti di vera follìa, vittoria, ma anche di delusione, tristezza e tante sconfitte ma, si riusciva sempre a trovare una via di uscita, anche quando Gianni Meta poneva questioni serie e riflessioni profonde sulla vera esigenza di continuare ad affrontare un campionato di Promozione o Eccellenza tenuto conto dei tanti sacrifici che essi comportavano. Niente alla fine vinceva la passione, la sfida, la voglia di continuare e allora tutti a testa bassa ognuno nel suo specifico ambito. Abbiamo raccontato passo dopo passo, tutto quello che accadeva dentro e fuori il campo di calcio, spesso abbiamo dovuto affrontare anche le critiche della dirigenza che magari non digeriva le analisi sulle partite della domenica, Luigino spesso mi chiamava anche dieci volte al giorno e con il suo sorriso e la sua ironia mi faceva capire che Donato era andato un po’ oltre le righe e mi ricordava che noi eravamo la comunicazione della società ma poi capiva che non bisogna far vedere tutte rose e fiori e bisogna sempre dire la verità con coraggio. Dopo un giorno mi richiamava e mi diceva, avevi ragione, la lealtà e l’onesta intellettuale, pagano sempre, e siamo andati avanti sempre sulla stessa linea. Un anno davvero terribile, abbiamo dovuto raccontare solo eventi luttuosi, nulla di calcio, siamo stati chiamati a svolgere un ruolo che forse non era nostro, noi che siamo abituati a parlare di cose belle, di calcio, di divertimento, delle coreografie della Brigata Roccasecca, dei giovani campioni, delle giornate trascorse al campo sportivo davanti a un caffè e seduti sugli spalti a osservare gli allenamenti, e tutto ciò che ruota intorno al calcio. Siamo stati chiamati a raccontare cose bruttissime, certo da solo non ce l’avrei fatta, senza l’aiuto di Donato Grimaldi sarebbe stata dura, si è vero, lui che è preciso, puntiglioso, determinato e prudente ha spesso messo a dura prova la mia pur consolidata pazienza, se non gli dai le giuste risposte lui non è convinto e quindi aspettati un messaggio Whatsapp o una chiamata. Bene lo voglio ringraziare pubblicamente perché come sempre ha svolto un gran lavoro, ripeto, specie in quest’ ultimo anno, ha scritto pagine davvero memorabili, ha saputo confezionare al meglio articoli che rimarranno pagine di storia, abbiamo creato uno Staff, valido, silenzioso e poco rumoroso che lavora spesso in silenzio ma rende omaggio a una grande società e soprattutto in questo momento, riesce a mantenere vivo il ricordo di chi ci ha lasciato. Luigino tranquillo, sei in buone mani, riposa in pace e tranquillo che qui giù so io come fare, d'altronde lo dicevi tu, qualsiasi cosa chiamate Silvio e io non finirò mai di ringraziarti per la stima che avevi in me. Grazie e Forza Roccasecca !!!


domenica 14 marzo 2021

CI LASCIA IL DIRETTORE SPORTIVO DELL'ASD ROCCASECCA, LUIGINO DE CAROLIS

Il mio ricordo è un mix di tante emozioni, una grande persona, un professionista serio, genuino, ostinato, e testardo. Mi ha sempre voluto al suo fianco e non mi sono mai rifiutato, una persona come lui che rispettava tutti meritava rispetto, Ciao Luigino, sei stato un grande amico, è stato un piacere per me, conoscerti e soprattutto aver condiviso con te molte emozioni. La società sportiva ASD ROCCASECCA perde il suo punto di riferimento, colui che, con grinta, passione e amore per il calcio ha speso gran parte della sua vita in favore del calcio e della sua amata Roccasecca. Un protagonista di primo livello, apprezzato anche a livello provinciale e regionale, un Dirigente genuino, sanguigno, leale, onesto, pronto a sostenere ogni battaglia in favore dei colori della sua squadra, uno che aveva nel sangue il calcio. Oggi l'intera comunità di Roccasecca, perde uno dei protagonisti principali, un amico di tutti, un imprenditore, un Signore, un tifoso, un valore aggiunto che tanti altri avrebbero voluto avere al loro fianco.




 

sabato 13 marzo 2021

Perché con Casadei se ne va un rocchettaro vero

 




Di Giampiero Casoni

Ci sono eresie che non di dicono ed eresie che diventano eretiche a non dirle. Ecco perché è meno strano di quanto sembri di acchitto pensare a Raoul Casadei come ad un perfetto tipo rock. Innanzitutto per un preambolo ovvio: quello per cui non sempre chi fa rock è rocchettaro nella polpa a seguire con un viceversa grosso come una casa (capito Sting?). Ma le categorie concettuali e le planate alla Pindaro c’entrano poco con la faccenda di Casadei che è stato più di quel che ha fatto o ha inteso fare. I concetti di base qui sono due: la Romagna e la balera. Che sono cose amene, correttesoft-piacione solo per i marziani e per quelli di Gallarate. Ci sarà un motivo per cui la Romagna è diventata l’archetipo della vita sanguigna, della carnalità sciolta e, non s’incazzino le frange prog,della mistica della fagiana no? In Romagna e fuor di luogocomunismo la gente o guida come Toretto, o mangia come Bud Spencer o balla come i dervisci rotanti. E’ gente che fa macchine da sogno, che ha dato il biberon a Dalla, Vasco e Liga. E’ gente che ha fatto del sangue che pompa un mantra e un marchio, spaziando da Ettore Muti alle coop rosse, senza grigi in mezzo. E Casadei, ex maestro elementare arrivato per tignaall’orchestra dello zio, quest’anima baccante e manichea l’ha dovuta un po’ piegare alle esigenze di un buonismo che avanzava di pari passo con la fama clamorosa che gli rotolava addosso. Tuttavia non è mai stato così scemo da ripudiarla completamente, un forlivese non può. Casadei era rock perché la sua era musica popolare, sanguinolenta e scopereccia come nessun’altra tranne appunto il rock. Non secondo le rotte di clichet esagerati, ma con l’eleganza sorniona che appartiene ai momenti del corteggiamento, al piacere di alludere, al prurito di starci ma solo per un giro di mazurca. Da questo punto di vista era antico, antico come il rock che con gli stereotipi sessisti di venia e un po’ tamarri ci ha campato cent’anni. Raoul ci ha fatto vincere contro Svezia e Germania prima ancora che sui campi di pallone. Ci ha fatto padri, nonni e cugini di almeno la metà della popolazione della Scandinavia e sorgi popolo ché solo per questo gli dovremmo tributare gli onori dei generali romani e dedicargli un busto al Pincio assieme a Mazzini e Cavour. Poi le balere dicevamo. E qui famo a capisse: una balera non è una calata circolare di cementina dove tizi bigi incrociano le zampe col mare di sfondo e mamme baffute sguinciano se la mano polipa una chiappa. Una balera è un’arena codificata di sudore e abbandono, è una versione dionisiaca e nana dei grandi luoghi di culto della musica. E’ un posto-concetto dove invece di farti anche di nafta agricola ti cali a Lambrusco, chassé e paillettes dai colori agghiaccianti fulminate dall’occhio di bue che ti segue implacabile con l’un-pa-pa del valzer che ti culla. Raoul è stato il direttore del circo più grande e spensierato e pieno di ottoni gracchiantidel mondo, e sotto quel tendone ci ha messo sorriso schietto e quella punta di cazzimma che ti sistema pure la vita. Ecco il perché di questa magica alchimia: perché Casadei era così lontano dal rock che, come tutti gli opposti, ha finito col fare il giro completo. E farlo per ritrovarsi esattamente sulla casella di quello da cui, per sciatte definizioni di categoria,avrebbe dovuto essere antipodo. Ed è da quella casella che il popolo del rock lo saluta, sincero senza deferenza come il Lambrusco, ruvido come i fratelli con cui non ti prendevi mai ma liscio come il liscio di questa storiaCome una musica cioè che non ci piaceva a mai ci piacerà, ma del cui profeta abbiamo sentito tutto il fascino. Liscio come piaceva a lui e a tutti quelli che cercano il groove senza sapere se viene dal tacabanda di un clarinetto o dal tremolo di una Fender.

venerdì 12 marzo 2021

LETTA MI PIACE MA NON VOTO PD

Fin quando in Provincia di Frosinone le sorti del partito saranno in mano a una classe dirigente che da oltre 20 anni ha pensato solo a costruire carriere e poltrone per pochi intimi, rendendo il partito un club d'élite, non penso di dargli il voto. Enrico Letta è un politico di spessore, l'uomo giusto, forse troppo giusto in un mondo di opportunismo e sete di potere. Dovrà fare i conti con le minoranze del partito che davanti ti acclamano e dietro ti fregano. Il PD ha bruciato negli anni tante risorse, ha approfittato del peso politico di personaggi che non venivano dalla sinistra per vincere e togliersi di dosso la casacca rossa ma all'occorrenza li hanno affossati. Dovettero pregare Prodi per vincere le elezioni, si sono affidati da sempre a politici di razza e provenienti dal mondo cattolico moderato, un leader della sinistra radicale non avrebbe mai ottenuto la fiducia degli italiani. In Ciociaria invece, quelli che contano, hanno da sempre cambiato idea a secondo di chi era al vertice, sono rimasti sempre a galla e se li vai a sentire, loro sono la sinistra, i veri comunisti, ma si vergognano. Spero che il PD con Letta cambi volto, non credo invece al cambiamento del PD ciociaro, vedo da sempre le stesse facce, da oggi saranno Lettiani convinti e forse domani anche Salviniani o Grillini, pur di non perdere la poltrona.

giovedì 11 marzo 2021

ENRICO LETTA VA BENISSIMO MA LA CIOCIARIA?

Enrico Letta va benissimo ma in provincia di Frosinone quando cambiate la classe dirigente ormai incancrenita e incollata sulla poltrona da oltre 30. Leader ciociari che cambiano correnti spostandosi come la pelle dei coglioni. Personaggi nati con la politica e dopo aver raggiunto tutti gli obiettivi ancora non mollano e continuano a dare le carte. Come può cambiare un partito con una classe dirigente come quella ciociara abituata a mungere " la zizza" fino alla morte.

lunedì 8 marzo 2021

UNA DOMANDA A CUI MOLTI NON SANNO RISPONDERE

 Gli abusivi che autocertificazione producono? Chiedo per molti artigiani e autonomi che si sono rotti i coglioni

ZONE ROSSE? NO, SEMPLICEMENTE RIDICOLI

 Prendo spunto da alcuni commenti per dire che le zone rosse decise non so da chi, non servono a una beata minchia. Blocchi solo la circolazione dei cittadini ma poi consenti a tutti (basta un oggetto commerciale ben fatto) di aprire la propria attività. È ovvio che tutti vogliono aprire ma se non fai circolare gente a chi cazzo la vendono la merce? Il trucco c'è, facendo aprire le attività si evita di dare i famosi ristori e poi basta prendersela con Bar e Ristoranti, chiudere le scuole, fare il coprifuoco di notte e il gioco è fatto. È una grande presa per il culo e laddove il Governo precedente aveva fallito voi con la scusa dell'unità nazionale, agite con prepotenza e indisturbati, tanto chi aizzava la protesta adesso è con voi. Ridicoli !

domenica 7 marzo 2021

Sanremo secondo Casoni

 

Di Maneskin, Achille ed altri pontieri…              


Comunque la si voglia mettere, Sanremo resta il più grande vetro divisorio su cui si spacca l’Italia che ama masticare di pentagramma e faccende annesse. Divisorio non tanto fra chi ama la ‘buona musica’ e chi giubila le ‘canzonette’, quanto piuttosto fra chi invoca eternamente il passato come archetipo di tempi migliori e chi vede nel presente una renaissance o comunque l’unica realtà possibile, senza numi tutelari a cui appellarsi ogni volta che si imbraccia una chitarra. E’ un problema di anagrafe e di forma, fidatevi, non di centellinatura cosciente di ricette musicali, ed è problema di forma e di fuffa. Un esempio, anzi, l’esempio per antonomasia? L’inveterata abitudine della parte tromboneggiante dello stivale a prendere d’aceto se alloro o gradimento maggiorato vanno ad artisti che, in un certo senso, vengono accusati di ‘eresia’ e scopiazzamento a perdere, su tutti e sul caso di specie Maneskin e Achille Lauro che cià pure l’aggravante di essere blasfemo 53 anni dopo Symphaty for the Devil, cioè è castematore e pure in ritardo. E il loop è talmente loppeggiante che potevamo intuirlo prima ancora che Sanremo iniziasse, ancor prima che ad Amadeus venissero gli occhi da carassio: “Questi qui sono solo brutte ed impunite copie di giganti ineguagliabili, come osano le merde!”. Ora, smontare questi formaggiari in chiave di sol col vizio del retropensiero sarebbe fin troppo facile. Lo sarebbe a spadellare tutto il concertato sul piano del ragionamento cartesiano: c’è la musica buona e c’è la musica dimmerda, ovvio, ma il problema è dare cittadinanza ad entrambe, e Sanremo tutto sommato non è l’Isola di Wight, quindi dopo Albano questi so’ oro per come la vedo io. Chi scrive nei suoi momenti di ubbia considera tutto ciò che c’è stato dopo Yesssongs alla stregua del festival della ciaramella di Capracotta. Tuttavia nella vita bisogna essere onesti prima che puristi. Eforse, se fossimo onesti, dovremmo ammettere che l’eugenetica senatoriale che ci ha lardellato gli occhi per decenni forse ha ammazzato il rock più di quanto non abbiano fatto Tony Manero a fine ‘70 e l’autotune dei ceffi che fanno la trap oggi. E allora non ci resta che buttarla in parabola, in quella cosa cioè che perfino uno paziente come Gesù aveva capito che funzionava, perché spiegava facile la teologia a gente che cagliava ricotte e tirava su saraghi, come Alberto Angela ai geometri.All’inizio degli anni ‘80 il grande rock era morto, sepolto e putrescente, la fiamma languiva, la british new wawe incalzava, il post punk prendeva di puzza di pedalini e manovrava a tenaglia con la disco. Con quella e con la pallosissima canzone d’autore italiana, quella che nel nome dei testi e del cazzo di ‘significato sociale’ aveva ridotto la musica ad una litania monocorde e acusticheggiante da far grattare le palle pure ai gatti neri. Era morto il groove, la palla di fuoco che alla base dello stomaco mandava in acido panze, capocce e cuori tutti assieme e che ti faceva battere il piede su ogni 4/4. Pestarlo sulle mattonelle della camerettae pensare che i tuoi, la società e perfino i pesci rossi in vasca fossero gente strana da cui stare alla larga. Perché, come diceva Zavattini , si nasce incendiari e si muore pompieri, ed essere incendiari a quell’età era la sola cosa che ci desse senso alla vita, e datemi un amen. Poi a metà funerale arrivò l’heavy metal, che più che gli schemi ruppe timpani e che sicurissimamente aveva una cifra tecnica ed innovativa rasoterra rispetto ai grandi padri. Eppure l’HM un merito lo ebbe: quello di tenere viva la fiamma, magari in forma di fiammella, di evitare che si spegnesse del tutto e di consentire che tornasse a balenare alta ma non altissima con il grande innesto del grunge e le grandi reunion della metà degli ‘80. Sembrerà una forzatura, ma se oggi ci sono millenials grulli che amano i Pink Floyd, che stanno all’heavy metal come Dracula sta all’Avis, è anche grazie a quei ‘pontieri’ fabbri ferrai che non si fecero scrupolo di prendersi i vaffanculo di sette adolescenti su dieci e di sedici adulti su tre. Perciò, invece di inorridire nel vedere che Achille Lauro scimmiotta Gabriel (non Bowie, coglioni, Gabriel) e che i Maneskin sanremesi sono una brutta copia dei Greta Van Fleet che sono una bruttissima copia degli Zeppelin, ponetevi una domanda. Fatevela allo specchio dove poggiate il dopobarba figo all’aloe: a sentire noidopo Hendrix avremmo dovuto fare “macera”? Cioè buttare Rory Gallagher, Alvin Lee, Eddie Van Halen e Paul Gilbert dove la morosa butta gli involtini di nuvenia? ‘Sti ragazzotti lo sanno benissimo di non essere manco grumo di forfora di quelli grossi assai che voi invocate solo per farvi vedere ‘studiati’ tanto poi non andate oltre il film sui Doors ai Bellissimi di Rete 4. Però hanno un diritto e sanno di averlo: quello di dire la loro facendosi aiutare da modelli, quello di farsi strada usando strade già tracciate e arrivare dove non c'è la grandezza che fu, ma la bellezza che sempre sarà quando sali su un palco, pure a Capracotta. Come Eddie con Jimmy o Jeff, come Bon (Scott) dopo Paul (Rodgers), e come un qualunque cazzo di manovale che non sarà mai un architetto, ma che se gli dici che non vale una cicca ti butta nell’impastatrice. E datemi un amen cazzo.

GLI ITALIANI PREFERISCONO I PAGLIACCI

 Aspettare Sanremo per ascoltare musica e nuovi successi già di per se è oggettivamente desolante, giudicare poi i nuovi idoli usciti  dal cilindro delle case discografiche, ancora peggio. I consumatori abituali di musica restano come sempre, indifferenti all'evento, tenuto conto che, da 71 anni (salvo rare eccezioni) il mercato non ha mai premiato i vincitori, gli intenditori e quelli che ascoltano musica, sanno intercettare le novità e soprattutto la buona musica. Sanremo da sempre è una questione commerciale e di ricollocamento di personaggi ormai caduti in disgrazia, solo in alcuni casi, una vetrina per che chi sfrutta il momento mediatico, e mette comunque in mostra la sua bravura, ricordo che Zucchero, Vasco Rossi e pochi altri, pur arrivando ultimi sono diventate Star internazionali. Sanremo è un po come le Regioni per la politica, un ricettacolo di trombati, bocciati e dimenticati dalla politica nazionale. Un ammucchio di personaggi inventati e costruiti dalle case discografiche che ovviamente ci investono milioni di euro. Tutto poi passa alle Radio private che fungono da jukebox, se metti i soldi ti faccio ascoltare il brano. Oggi esistono anche i social che, come visto, influenzano il voto, basta fare un po lo scemo, raggiungi tanti like e il gioco è fatto. Basta ingraziarsi una Ferragni a caso e rischi di vincere Sanremo, se poi sei il marito ti accontenti del secondo posto. Alla faccia di tanti musicisti e artisti davvero bravi che sono costretti all'anonimato o destinati a esibirsi in locali o matrimoni a quattro soldi. La musica vera è altrove, i cantautori, le band serie, i musicisti veri sono quelli che ogni giorno pensano a migliorare, sperimentare nuovi progetti musicali, studiare e promuovere il proprio lavoro sfidando il mercato. È quello che conta alla fine, il profitto, d'atronde è un lavori, chi lo sceglie sa a cosa va incontro. Il successo può arrivare anche senza fare lo scemo sul palco di Sanremo, ci sono tante altre vetrine che offrono ancora margini di successo. La TV lo ha rovinato questo mestiere, tanti sono i programmi televisivi che cercano di scoprire nuovi talenti ma una cosa è certa, deve essere sempre un produttore e una casa discografica disponibile a investire e due sono le ipotesi, o si è bravi o si è pagliacci, alla fine pagano tutte e due ma molti professionisti, preferiscono farsi chiamare artisti. Per i pagliacci c'è sempre Sanremo, basta vestirsi in modo strano e fare colpo sul pubblico che vota tanto tra questo ci sarà un buon 70% che guarda piu l'effetto scenico e non la sostanza, un po come la politica, riusciamo ad eleggere sempre il peggio, forse abbiamo bisogno di ridere, svagarci e preferiamo chi ci fa ridere 😀

PREGHIERA A SAN TOMMASO

 È passat n'ann intero e la storia è sempre chella. 

Chius in casa senza scì per sti cazz de decret.

Maledetta pandemia, non vuoi proprio andare via.

Non so quando finirà ma so solo che ci stai a stressà.

Ogge è pur Sant Tumas e c'emma sta alla casa.

Chisà quann finirà mo intant iam annanz.

Ogni anno te venevà a truvà mo manc chess se po fà.

Pensaci tu San Tommà aecc la gente sta a sclerà.

Fa fenì sta pandemia, ca già  stam 'mmes na via.

Sule tu ce po pensà, nua emma sule sopportà.

Te saluto San Tommà vid chell ch'edda fà!

sabato 6 marzo 2021

FROSINONE ZONA ROSSA


 

🔴ATTENZIONE🔴

PROVINCIA DI FROSINONE ZONA ROSSA

A decorrere dalle 00:01 del giorno 8 marzo e per 14 giorni successivi.

 

venerdì 5 marzo 2021

CON O SENZA PUBBLICO

Caro Amadeus con l'importo che incasserai, chiunque avrebbe fatto lo "scemo" davanti una telecamera e senza pubblico, d'altronde voi siete abituati, la TV spesso è finzione, specchi, applausi finti, è il vostro mestiere e tu che hai fatto il DJ e Speaker dovresti saperlo, pensa a chi lo fa ogni giorno da una radio privata oppure a chi durante una serata ha davanti a se solo pochi intimi e alla fine non sa neppure se lo pagano. Il vostro mestiere è quello più difficile, intrattenere, far ridere, far dimenticare, se pensi che c'è chi lo fa sui social e ha davanti a se uno schermo del telefonino. Bisogna essere coscienti e convinti di quello che si fa, poi se ci aggiungi anche un buon incasso, io farei Sanremo ogni giorno 😀😀😀😀😀😀😀😀 Tu sei un professionista serio, non cadere in questo tranello e sii fiero del tuo lavoro.

MA QUALI ALPINI CI VOLEVANO I CARABINIERI

 Se proprio serviva un Generale l'unico che avrei visto adatto a gestire il piano vaccini,  è il Comandante Generale dei Carabinieri e non uno degli Alpini ma per un semplice motivo. L'Arma dei Carabinieri è dislocata su tutto il territorio nazionale con le Stazioni quasi in ogni Comune. Dove non arriva nessuno loro ci sono sempre ed è indiscutibile il grado di affidabilità e serietà dell'Arma. Tutto il resto è solo confusione.

Cosa insegnò il Bronx a Mario

 

 di Giampiero Casoni

 

Mario Lozano si era fatto le ossa nel Bronx, che non è sempre e solo quel posto trucido dove se non meni vieni menato e dove la scorza che ti fai basta per settantasette vite. No, nel Bronx Mario ci aveva vissuto un po’ come si fa nei giardini incolti ma che non vanno oltre serpentelli e cavallette, in quanto a fauna trucida. Anzi, per lui uscire da un ghetto a metà che neanche gli dava la patente di duro fu una benedizione. E trovarsi sparato nei training camp della Guardia Nazionale per essere assegnato al 69mo reggimento della 42ma divisione di fanteria ‘Rainbow’ diventò una forma di riscatto. Ma il destino per Mario aveva in serbo strane coincidenze. Il suo reggimento era costola scafata della famosa Irish Brigade, chiamata così perché da sempre composta quasi a pieno organico da irlandesi. Lozano con quelle terra verde e fegatosa non aveva un cazzo da spartire; lui era mezzo portoricano e mezzo italiano, siciliano per la precisione, un altro segno del destino. Fatto sta che l’Irlanda tornò a fare capoccella nella vita di Mario a inizio marzo del 2004. Come specialista per brandeggio e bipiede era arrivato a Mansour e si era ritrovato a presidiare una strada chiamata Route Irish, ma non la chiamavano così perché c’era la sua brigata. Era solo un code name per indicare che quella strada era il teatro dell’operazione Wolfhound, un levrierone particolarmente amato dagli scassacapoccia medievali d’Irlanda. Bisognava presidiare i 12 chilometri che separavano l’aeroporto di Baghdad dalla Green Zone. In mezzo pericolo, giochi di spie, ambasciatori che schizzavano verso i telefoni caldi come John Negroponte e informazioni che dovevano viaggiare veloci. Veloci perché lì non sapevi mai se l’auto che arrivava ti portava la cassa di Pepsi o una fagottata di tritolo attaccata allo sterno di qualche matto con Allah nel cuore e un detonatore nel pugno. Non lo sapeva neanche Mario, non lo sapeva esattamente quando avrebbe dovuto saperlo, cioè quando, dopo aver lasciato passare 29 veicoli senza neanche piegare l’indice, in punta al vivo di volata della sua M204B comparvero dei fari. Erano quelli della Toyota che portava Giuliana Sgrena in salvo e Nicola Calipari verso una meritatissima doccia. Lozano si ricordò di essere uno del Bronx, uno cioè che prima spara e poi pensa, e fece partire la raffica di fidanzamento, quella con cui i traccianti aggiustano il tiro verso il target. Dopo la prima, breve per mungere la parabola giusta, ne sparò un’altra, lunga. Undici proiettili calibro 7.62 che sfondarono tutto ciò che c’era di sfondabile nella Toyota: le bocchette alla base del cofano, il parabrezza, i sedili. E con essi la testa di Nicola Calipari che si era buttato addosso alla Sgrena per farle scudo. Lozano, quella sera alcheck-point 541,portava la divisa di gente che sapeva che quella sera sarebbe passata un’auto con un team dei servizi italiani, ma sparò lo stesso e senza un avvertitivo, se a corto di ordini o di raziocinio non lo sapremo mai. E uccise un uomo buono e un poliziotto coi controcazzi che come vice boss operativo del Sismi aveva già riportato a casa le due volontarie Simona Pari e Simona Torretta. Lozano ebbe un processo che finì come tutti i processi in cui la sovranità territoriale è discrimine fra verità e versione e l’immunità è assicurata dal potere autoritativo, cioè con un nulla di fatto. L’ambasciatore in Italia Mel Sembler, tipo bislacco, aveva una tesi tutta sua: era quella per cui la giustizia italiana tende a trainare la carretta delle sue tesi anche fuori dal recinto della legge con cui opera. Nello specifico disse: “i magistrati italiani sono famigerati per forzare queste leggi ai loro scopi”. Lo disse in una telefonata fatta alla Casa Bianca per blindare la posizione di Lozano, il mitragliere cresciuto nel Bronx che non sapeva scegliere fra impulso e freddezza. Non lo seppe fareammazzando Nicola Calipari che ieri quasi nessuno di noi, colpevolmente spersi fra Covid e Orietta Berti, ha pensato di ricordare.

martedì 2 marzo 2021

Addio IMMENSO Coccoluto 💪❤️

 

 
Per noi che siamo nati nelle radio private, il nome del grande " Cocco" rappresentava l'olimpo, la vetta da scalare, l'esempio da seguire, il mito, il maestro il chirurgo della consolle ma prima ancora lo speaker. Si perché a quei tempi non esisteva il Dj muto, quello che abbassa la testa, mette la musica, quella che piace a lui e non guarda la pista, il pubblico. Lo speaker oltre a dover saper intrattenere doveva sapere mettere anche la musica. Noi che negli anni '80 frequentammo il corso ANDJARD per ottenere quel famoso tesserino da DJ che ti consentiva di avere sconti sui dischi, di entrare nelle Discoteche, ti apriva le porte a una professione che nessuno ancora comprendeva e snobbava, i villaggi turistici e tutto il resto, dovemmo sostenere esami di dizione, psicologia di massa, recitazione, italiano, insomma 9 mesi di " mazzo" prima di potersi definire Speaker e DJ. Gli esaminatori Arbore e Cecchetto erano rigidissimi nel giudicare gli aspiranti DJ mentre tu, Coccoluto viaggiavi già come un treno e gia muovevi le masse. Sei stato per noi, un faro, un esempio, un professionista completo. Le tue recensioni, i tuoi articoli le tue  riflessioni rimarranno pietre preziose, il tuo modo di vivere anche. Ci siamo incontrati diverse volte, avevamo anche amici in comune, eri anche un esempio di vita e saperti vivere a Cassino era come una sorta di sicurezza per noi Dj sbarbatelli 😀😀😀😀😀 Grazie di tutto mitico " Cocco" la musica e lo spettacolo in generale perdono una colonna storica.