IL BLOG DI SILVIO TEDESCHI

sabato 13 marzo 2021

Perché con Casadei se ne va un rocchettaro vero

 




Di Giampiero Casoni

Ci sono eresie che non di dicono ed eresie che diventano eretiche a non dirle. Ecco perché è meno strano di quanto sembri di acchitto pensare a Raoul Casadei come ad un perfetto tipo rock. Innanzitutto per un preambolo ovvio: quello per cui non sempre chi fa rock è rocchettaro nella polpa a seguire con un viceversa grosso come una casa (capito Sting?). Ma le categorie concettuali e le planate alla Pindaro c’entrano poco con la faccenda di Casadei che è stato più di quel che ha fatto o ha inteso fare. I concetti di base qui sono due: la Romagna e la balera. Che sono cose amene, correttesoft-piacione solo per i marziani e per quelli di Gallarate. Ci sarà un motivo per cui la Romagna è diventata l’archetipo della vita sanguigna, della carnalità sciolta e, non s’incazzino le frange prog,della mistica della fagiana no? In Romagna e fuor di luogocomunismo la gente o guida come Toretto, o mangia come Bud Spencer o balla come i dervisci rotanti. E’ gente che fa macchine da sogno, che ha dato il biberon a Dalla, Vasco e Liga. E’ gente che ha fatto del sangue che pompa un mantra e un marchio, spaziando da Ettore Muti alle coop rosse, senza grigi in mezzo. E Casadei, ex maestro elementare arrivato per tignaall’orchestra dello zio, quest’anima baccante e manichea l’ha dovuta un po’ piegare alle esigenze di un buonismo che avanzava di pari passo con la fama clamorosa che gli rotolava addosso. Tuttavia non è mai stato così scemo da ripudiarla completamente, un forlivese non può. Casadei era rock perché la sua era musica popolare, sanguinolenta e scopereccia come nessun’altra tranne appunto il rock. Non secondo le rotte di clichet esagerati, ma con l’eleganza sorniona che appartiene ai momenti del corteggiamento, al piacere di alludere, al prurito di starci ma solo per un giro di mazurca. Da questo punto di vista era antico, antico come il rock che con gli stereotipi sessisti di venia e un po’ tamarri ci ha campato cent’anni. Raoul ci ha fatto vincere contro Svezia e Germania prima ancora che sui campi di pallone. Ci ha fatto padri, nonni e cugini di almeno la metà della popolazione della Scandinavia e sorgi popolo ché solo per questo gli dovremmo tributare gli onori dei generali romani e dedicargli un busto al Pincio assieme a Mazzini e Cavour. Poi le balere dicevamo. E qui famo a capisse: una balera non è una calata circolare di cementina dove tizi bigi incrociano le zampe col mare di sfondo e mamme baffute sguinciano se la mano polipa una chiappa. Una balera è un’arena codificata di sudore e abbandono, è una versione dionisiaca e nana dei grandi luoghi di culto della musica. E’ un posto-concetto dove invece di farti anche di nafta agricola ti cali a Lambrusco, chassé e paillettes dai colori agghiaccianti fulminate dall’occhio di bue che ti segue implacabile con l’un-pa-pa del valzer che ti culla. Raoul è stato il direttore del circo più grande e spensierato e pieno di ottoni gracchiantidel mondo, e sotto quel tendone ci ha messo sorriso schietto e quella punta di cazzimma che ti sistema pure la vita. Ecco il perché di questa magica alchimia: perché Casadei era così lontano dal rock che, come tutti gli opposti, ha finito col fare il giro completo. E farlo per ritrovarsi esattamente sulla casella di quello da cui, per sciatte definizioni di categoria,avrebbe dovuto essere antipodo. Ed è da quella casella che il popolo del rock lo saluta, sincero senza deferenza come il Lambrusco, ruvido come i fratelli con cui non ti prendevi mai ma liscio come il liscio di questa storiaCome una musica cioè che non ci piaceva a mai ci piacerà, ma del cui profeta abbiamo sentito tutto il fascino. Liscio come piaceva a lui e a tutti quelli che cercano il groove senza sapere se viene dal tacabanda di un clarinetto o dal tremolo di una Fender.

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