IL BLOG DI SILVIO TEDESCHI

domenica 7 marzo 2021

Sanremo secondo Casoni

 

Di Maneskin, Achille ed altri pontieri…              


Comunque la si voglia mettere, Sanremo resta il più grande vetro divisorio su cui si spacca l’Italia che ama masticare di pentagramma e faccende annesse. Divisorio non tanto fra chi ama la ‘buona musica’ e chi giubila le ‘canzonette’, quanto piuttosto fra chi invoca eternamente il passato come archetipo di tempi migliori e chi vede nel presente una renaissance o comunque l’unica realtà possibile, senza numi tutelari a cui appellarsi ogni volta che si imbraccia una chitarra. E’ un problema di anagrafe e di forma, fidatevi, non di centellinatura cosciente di ricette musicali, ed è problema di forma e di fuffa. Un esempio, anzi, l’esempio per antonomasia? L’inveterata abitudine della parte tromboneggiante dello stivale a prendere d’aceto se alloro o gradimento maggiorato vanno ad artisti che, in un certo senso, vengono accusati di ‘eresia’ e scopiazzamento a perdere, su tutti e sul caso di specie Maneskin e Achille Lauro che cià pure l’aggravante di essere blasfemo 53 anni dopo Symphaty for the Devil, cioè è castematore e pure in ritardo. E il loop è talmente loppeggiante che potevamo intuirlo prima ancora che Sanremo iniziasse, ancor prima che ad Amadeus venissero gli occhi da carassio: “Questi qui sono solo brutte ed impunite copie di giganti ineguagliabili, come osano le merde!”. Ora, smontare questi formaggiari in chiave di sol col vizio del retropensiero sarebbe fin troppo facile. Lo sarebbe a spadellare tutto il concertato sul piano del ragionamento cartesiano: c’è la musica buona e c’è la musica dimmerda, ovvio, ma il problema è dare cittadinanza ad entrambe, e Sanremo tutto sommato non è l’Isola di Wight, quindi dopo Albano questi so’ oro per come la vedo io. Chi scrive nei suoi momenti di ubbia considera tutto ciò che c’è stato dopo Yesssongs alla stregua del festival della ciaramella di Capracotta. Tuttavia nella vita bisogna essere onesti prima che puristi. Eforse, se fossimo onesti, dovremmo ammettere che l’eugenetica senatoriale che ci ha lardellato gli occhi per decenni forse ha ammazzato il rock più di quanto non abbiano fatto Tony Manero a fine ‘70 e l’autotune dei ceffi che fanno la trap oggi. E allora non ci resta che buttarla in parabola, in quella cosa cioè che perfino uno paziente come Gesù aveva capito che funzionava, perché spiegava facile la teologia a gente che cagliava ricotte e tirava su saraghi, come Alberto Angela ai geometri.All’inizio degli anni ‘80 il grande rock era morto, sepolto e putrescente, la fiamma languiva, la british new wawe incalzava, il post punk prendeva di puzza di pedalini e manovrava a tenaglia con la disco. Con quella e con la pallosissima canzone d’autore italiana, quella che nel nome dei testi e del cazzo di ‘significato sociale’ aveva ridotto la musica ad una litania monocorde e acusticheggiante da far grattare le palle pure ai gatti neri. Era morto il groove, la palla di fuoco che alla base dello stomaco mandava in acido panze, capocce e cuori tutti assieme e che ti faceva battere il piede su ogni 4/4. Pestarlo sulle mattonelle della camerettae pensare che i tuoi, la società e perfino i pesci rossi in vasca fossero gente strana da cui stare alla larga. Perché, come diceva Zavattini , si nasce incendiari e si muore pompieri, ed essere incendiari a quell’età era la sola cosa che ci desse senso alla vita, e datemi un amen. Poi a metà funerale arrivò l’heavy metal, che più che gli schemi ruppe timpani e che sicurissimamente aveva una cifra tecnica ed innovativa rasoterra rispetto ai grandi padri. Eppure l’HM un merito lo ebbe: quello di tenere viva la fiamma, magari in forma di fiammella, di evitare che si spegnesse del tutto e di consentire che tornasse a balenare alta ma non altissima con il grande innesto del grunge e le grandi reunion della metà degli ‘80. Sembrerà una forzatura, ma se oggi ci sono millenials grulli che amano i Pink Floyd, che stanno all’heavy metal come Dracula sta all’Avis, è anche grazie a quei ‘pontieri’ fabbri ferrai che non si fecero scrupolo di prendersi i vaffanculo di sette adolescenti su dieci e di sedici adulti su tre. Perciò, invece di inorridire nel vedere che Achille Lauro scimmiotta Gabriel (non Bowie, coglioni, Gabriel) e che i Maneskin sanremesi sono una brutta copia dei Greta Van Fleet che sono una bruttissima copia degli Zeppelin, ponetevi una domanda. Fatevela allo specchio dove poggiate il dopobarba figo all’aloe: a sentire noidopo Hendrix avremmo dovuto fare “macera”? Cioè buttare Rory Gallagher, Alvin Lee, Eddie Van Halen e Paul Gilbert dove la morosa butta gli involtini di nuvenia? ‘Sti ragazzotti lo sanno benissimo di non essere manco grumo di forfora di quelli grossi assai che voi invocate solo per farvi vedere ‘studiati’ tanto poi non andate oltre il film sui Doors ai Bellissimi di Rete 4. Però hanno un diritto e sanno di averlo: quello di dire la loro facendosi aiutare da modelli, quello di farsi strada usando strade già tracciate e arrivare dove non c'è la grandezza che fu, ma la bellezza che sempre sarà quando sali su un palco, pure a Capracotta. Come Eddie con Jimmy o Jeff, come Bon (Scott) dopo Paul (Rodgers), e come un qualunque cazzo di manovale che non sarà mai un architetto, ma che se gli dici che non vale una cicca ti butta nell’impastatrice. E datemi un amen cazzo.

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