IL BLOG DI SILVIO TEDESCHI

lunedì 12 aprile 2021

La difesa che Buschini non ha avuto

 

di Monia Lauroni


Mauro Buschini aveva bisogno di una difesa d’ufficio e non l’ha avuta. Chiariamola subito: di una cosa puoi avere bisogno perché ti serve, o perché ti serve sapere che qualcuno di quel bisogno per te si faccia nuncio simbolico. Questo perché, la difesa d’ufficio non è solo figura procedurale incardinata nei codici del diritto, ma è anche specchio fedele della considerazione che hai saputo far germinare in petto a chi hai fatto ricco: di credito politico, di appeal partitico e di gadget di governo dove e quando governare era impossibile. E vedere che Mauro Buschini non ha fatto eccezione nel clichet misero di un’Italia che sta sempre livellata e avvoltoia fra l’alloro degli untuosi e la polvere dei ridacchianti non ha giovato. Che non abbia giovato alla Ciociaria qui poco conta, non ci cadiamo nel tranellone dell’opportunismo territoriale un tanto al chilo, ma che non abbia giovato all’etica dell’amicizia fa specie davvero. Perché noi siamo ancora talmente cretini da credere, o sperare, che la frequentazione di medesimi luoghi, la condivisione di medesimi ideali, il perseguimento di medesimi obiettivi, alla lunga, possa generare qualcosa di più di una semplice convergenza di interessi. Con la gente che frequenti a bottega comune ti ci confronti e ti ci misuri. Di certe persone impari e conoscerne le sfumature, i gusti a tavola, le piccole debolezze, le fisime di tifoseria, i sudori quando fa caldo, i timbri vocali dei familiari quando chiamano, i grandi sogni nel cassetto e i tic quando il mainstream non ti mette in tacca di mira. E forse i limiti di una certa, grassa e crassa parte del Partito Democratico stanno tutti qua. Stanno spalmati grevi sulla battigia vetrosa di una eterna vocazione all’harakiri, al tafazzismo ottuso di chi non ha altri nemici se non quelli al suo interno, i Dem-oni di una creatura che dal Lingotto ad oggi non ha ancora capito il distinguo fra pluralismo e ‘caciara’. La buona fede di Mauro Buschini stava tutta genuinamente servita nell’ingordo entusiasmo che metteva nelle sue risposte ogni volta che gli parlavi del correntismo Dem. Tu andavi infida e serpente a suggerirgli che forse più che un esercizio di sana dialettica era un totem di satrapismo impunito e lui a ribadire sereno che l’anima del partito era esattamente in quell’essere in disaccordo praticamente su tutto. Era un’anima complicata e bella che faceva il nido negli elettroni impazziti del diritto che ogni bocca aveva a dire la sua, nel genio mistico di una cosa bella perché collegiale, condominiale ma fatta di quattro grosse pareti comuni. E mentre difendeva il principio generale sano in paradigma, ma tarlato dai satrapi, esattamente negli stessi giorni e senza alcun sentore, iniziava a perire di veleno, che di certa strategia è arma prediletta. Blue on blue, lo chiamano in gergo militare, fuoco amico. Quel codice con cui un cristo in divisa avvisa quelli che hanno giurato alla stessa bandiera che gli stanno facendo fioccare bombe sulla testa, a volte per sbaglio, a volte perché per evitare di perdere una guerra devi giocarti una battaglia e la pelle di un generale. Questioni di bandierine e di mappe che non possono guardare al singolo. Perché non vengano a cantarci la canzone scema per cui Mauro Buschini è andato a soccombere a presunte responsabilità etiche che hanno trovato condensa sul suo solo capo e tratto nel suo solo pugno. E non ci vengano a dire che Buschini è vittima tutto sommato sacrificabile di una “pressione mediatica” che ha dato miccia alla sua scelta di tirarsi fuori e salvare il partito da embolo certo. La pressione mediatica è l’effetto, non la causa, e la pressione, come tutte le cose Dem buone o pessime che siano, era pressione interna. Basta vedere chi non lo ha difeso, sentitamente, tignosamente,  per capire di cosa e di chi è vittima Buschini. E’ vittima della calcolosi di un partito che ha scelto una nuova linea e l’ha imposta a chi dalla (prima) linea si era tirato indietro. Perché se vedi una frana e fai in tempo ad evitarla ti salvi la vita, ma se vedi una frana e fai in tempo a farci finire sotto qualcun altro ti salvi qualcosa che in politica stacca la vita di sei lunghezze: ti salvi la carriera.


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