IL BLOG DI SILVIO TEDESCHI

lunedì 22 febbraio 2021

Ultimo va in pensione, quello che ci ha trasmesso no

 di Giampiero Casoni

Per i millenials è roba da googolare così si rifinisce un dato fumoso, per i giovanissimi è arabo, e arabo resta perché non la puoi cantare in autotune. Eppure Crimor non è solo una parola, è un mantra, il mantra dell’Italia che picchia i suoi picchiatori più brutali di sempre, i viddani e il loro capoccia, Totò Riina. Tecnicamente è un acronimo, come Fiat buonanima, e sta per Criminalità Organizzata. Tuttavia quelli che ne fecero parte stavano dalla parte giustissima, che non è mai quella del crimine. Era una unità specializzata della prima sezione Ros dei Carabinieri, milanese di nascita e palermitana di consacrazione. Perché si, la Crimor arrivò a Palermo nell’anno in cui stare a Palermo era orribile anche se eri solo un postino. Era la Palermo che aveva appena seppellito Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, spezzettati pochi mesi prima dai macellai corleonesi, annientati con le scorte in un mare di sangue, ossa e denti che avrebbero dovuto cancellare la Grande Stagione di Lotta ai ‘punciuti’ delle campagne rupestri sopra il capoluogo siciliano. Era la città in cui un’offensiva spaccona come mai nessun’altra aveva perfezionato la categoria di pensiero per cui a stare con lo Stato e a seguirne le leggi ci si perdeva tutto: vita, decoro, occasioni, ricchezza, prestigio, posizione sociale e benefit, perfino carisma in famigliail fondo della Repubblica. E invece successe una cosa che puntualmente i delinquenti tamarri non capiscono: lo Stato vide l’asticella del terrore piazzata troppo in alto, messa sfrontata a percularlo, e reagì, come i cristiani buoni dei luoghi comuni che è meglio non far incazzare perché poi sono i peggiori clienti. E a Palermo arrivò dunque Crimor. Avevano tutti nom de guerre, nomi falsi e un po’ sboroni, quasi a coprire le pudenda di vite normali, caratteri ordinari, sogni comuni e rotondi e braccia senza bicipiti abboffati dal massacro in palestra.Ricordiamoli: Arciere, Aspide, Barbaro, Nello, Omar, Ombra, Oscar, Pirata, Tempesta, Vichingo, Ninjia, Pluto, Solo e Parsifal (rip). A comandarli Ultimo. Un’accozzaglia di specialisti spicci e spaiati come calzini in un tiretto. Genteche aveva una sola cosa in comune, quella più importante: la testa dura di chi va a cimento per uscirne o col punto in tasca o col vestito buono addosso, quello che ti mettono nella cassa quando crepi. Ultimo in realtà si chiamava e si chiama Sergio, Sergio DeCaprio, carabiniere di mestiere e pazzoide di vocazione. Perché solo un pazzoide puo’ tampinare, cimiciare, puntare l’usta del capo assoluto della mafia per quattro mesi sapendo due cose: che la preda è predatore nato e che le tane in cui abita sono millemila, millemila come i suoi scherani, guardaspalle, galoppini e ciambellani. Tutta gente abituata a dare la morte o quanto meno a conoscerne i tratti confidenziali. E questo con la dimestichezza che un uomo in divisa puo’ aver studiato o corteggiato sporadicamente, ma mai come loro, mai come i viddani che parevano nati per affratellarsi alla Puttana con la Falce. Fu Ultimo a portare a termine la missione, lui e la sua squadra, i matti della Crimor con lo stemma sborone come loro, a forma di cobra attorcigliato ad una bomba a mano. Fu lui a mettere le manette alla Bestia, lui a portare la croce di una mancata perquisizione del covo che gli fece ombra aorgoglio e foglio matricola per anni. Quel covo stanato da una frase quasi amorevole del Capo mannaro, che diceva sempre di avere ‘la Noce nel cuore”. Era il quartiere della Noce, guardato a vista come un fortino dai fedelissimi Ganci. Lui che ha vissuto una vita col mephisto in testa, anche quando da carabiniere è passato dalle male campagnole alla tutela del verde che alla campagna dà sostanza. Lui che, in quei quattro mesi sfolgoranti e di riscatto, ci ha insegnato una cosa che ci resterà dentro anche oggi che va in pensione. E cioè che con le persone giuste al fianco nessuno resta per sempre in ginocchio. E qui l’autotune ci starebbe benissimo raga.

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